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Titolo: Incertezze della critica d'arte

Autore: Lucio Cabutti

Data: 1955-04-01

Relazione: Ateneo, anno 6 n. 10 p. 4

Identificatore: 06_10_04_01

Testo: Incertezze della critica d’arte
Anche la recente Mostra del ci­
clo e motociclo non è stata recensita
dai critici d’arte dei nostri giornali
quotidiani. E non si può dire che
manchino loro lo spazio, il tempo e
la pazienza di fare recensioni, se
quasi ogni giorno ci informano di
mostre di mestieranti del tutto incon­
sistenti, che tra l’altro, per il solo
fatto di esporre in pubblico quadri
sterili e dissoluti, esercitano una fun­
zione asociale e corruttrice e quindi
non meriterebbero i cortesi incoraggia­
menti dei quali taluni recensori fanno
un po’ troppo uso. E’ ovvio che la
prassi ed il costume giornalistico
hanno le loro esigenze, ed è altret­
tanto ovvio che i critici d'arte dei
quotidiani non sempre, forse, sono
completamente indipendenti dall’orien­
tamento dei giornali; tuttavia in certi
casi non sarebbe male che essi si
rendessero meglio conto delle loro re­
sponsabilità. Da loro, infatti, dipen­
dono gli orientamenti estetici di una
gran parte del pubblico, e cioè la pos­
sibilità stessa, per molte persone, di
capire e conoscere le forme d'arte con­
temporanea. Le quali forme d’arte
contemporanca, se l'arte non è un
superfluo ed astratto estetismo ma un
modo d’essere e di affrontare le si­
tuazioni concrete, sono realtà radicate
nelle strutture vive della nostra epoca :
e perciò la conoscenza di opere d'arte
è per il pubblico un modo di conosce­
re se stessi e il proprio tempo, di
rendersi consapevoli, di affrontare la
propria realtà. E’ chiaro allora che
dal lavoro del critico dipendono la
consapevolezza o la cecità di molte
altre persone di fronte ai problemi
concreti di ogni giorno: la funzione
sociale del critico consiste nel portare
il suo pubblico ad una maggiore con­
sapevolezza, e questa è una respon­
sabili
tà che i critici d’arte coscienti
devono assumersi.
Tenendo conto di questo, e cioè
tenendo presente che tali problemi, superficialmente accusati di bizanti­
nismo, sono altrettanto importanti
quanto i cosiddetti problemi sociali
proprio perchè sono anch’essi problemi
sociali e politici, il fatto che la
XXVI Mostra del ciclo e motociclo
non sia stata recensita dai critici di
arte diviene significativo.
Infatti così facendo essi danno pro­
va : 1) di assenza di rigore, di chia­
rezza, di coerenza, 2) di adesione, magari incosciente, ad una concezione
dell’arte fondamentalmente conservatri­
ce, legata a dogmatismi, ad estetismi
e ad orientamenti che tendono a fare
dell’arte non un prodotto dell’uomo, fatto per esistere tra gli uomini e per
operare nella società, ma uno stru­
mento di evasione dai problemi stori­
ci, sociali, morali del tempo.
L’assenza di rigore, di chiarezza e
di coerenza, consiste nel fatto che
la Triennale di Milano, come mostra
d’arte « applicata », è stata recensita
da costoro dando così prova di supe­
rare il pregiudizio verso oggetti di
arte con funzione utilitaria, mentre
nel pregiudizio si è ricaduti coll’igno­
rare — in sede di critica d’arte —
il Salone dell'automobile o, appunto
recentemente, la Mostra del ciclo e
motociclo: sarebbe tanto di guada­
gnato se i critici si qualificassero più
rigorosamente, scegliendo o una di­
fesa dell’arte contro la utilitarietà e
così rinunciando non solo alla Trien­
nale ma anche all’architettura non
estetizzante (per esempio case d'abi­
tazione, fabbriche, chiese ecc.), o una
più chiara e coerente difesa della
funzionalità contro l’estetismo e così
interessandosi anche di automobili, motociclette, ecc.
Naturalmente una interpretazione
critica di un'automobile, per esempio, richiede la conoscenza di problemi
tecnici particolari, che non tutti i cri­
tici d’arte probabilmente hanno: ma
questo è riconosciuto già da tempo
dagli interpreti d’opere architettoni­
che non estetizzanti. Evidentemente, la scelta tra i due orientamenti cri­
tici (quello che dissolve la realtà del­
l'arte in un valore meramente este­
tico e quello che invece vede nella
utilizzabilità dell'opera una qualifi­
ca positiva anche in sede estetica)
assume un valore letteralmente poli­
tico: infatti la funzionalità, cioè la
utilizzabilità dell’opera d’arte (come
per esempio l’abitabilità di una casa, il suo costituire un ambiente che
soddisfa le esigenze di determinate
persone) la inserisce nei limiti di una
società, di una situazione morale e
sociale concreta, di una specifica
presa di posizione; mentre l’orienta­
mento opposto nasce da una più o
meno velata indifferenza verso gli
uomini, la società, i loro bisogni e le
loro esigenze: mentre nel primo ca­
so la realtà è affrontata, e l’opera
diviene contemporaneamente una pre­
sa di posizione ed una soluzione del
problema, nel secondo caso essa eva­
de da ogni problema, mascherandolo
in funzione di una piacevolezza este­
tistica priva di relazioni con la vita
della persona. Questo ultimo caso ri­
sulta rigorosamente antisociale, ed in
effetti viene difeso appunto da critici
di tendenze assolutistiche.
Il conservatorismo dei critici (ed
anche dei pittori, dei tecnici, degli
architetti) di tale seconda tendenza
porta ad una vera e propria frattura
tra uomo di cultura (dove per cultura
ovviamente non si intende « erudi­
zione » ma caso mai « consapevolez­
za di ciò che si fa») e pubblico: e
ogni giorno si incontrano esempi di
tali fratture, dovute ad un cristalliz­
zarsi su determinate posizioni alle
quali non corrisponde più la realtà
storica che si è trasformata. Come
per esempio nel caso di quasi tutta
la critica contemporanea, che è rimasta
ancorata alle forme d’arte tradizio­
nali (nelle quali entrava a mala pena
l’architettura) senza diventar consa­
pevole dei nuovi « generi letterari »
(automobile, motocicletta ecc.) che
nuove esigenze, nuove acquisizioni
tecniche e nuove forme di organizza­
zione sociale hanno prodotto. E ana­
logamente nel campo della lettera­
tura, ancora oggi molti studiosi non
tengono conto della produzione gior­
nalistica e si accostano con diffi­
denza (in sede estetica) a raccolte di
lettere come quelle della resistenza.
Cosi sono vagheggiati, e non solo in
sede di tecnica politica, modi di essere
tragicamente anacronistici; si tenta di
fare passare per viventi quelli che
sono ruderi di persone, ancorate ad
un passato non più esistente che in
esse è riesumato in modo sterile ed
astratto. Retorica, dogmatismo, vio­
lenza, che celano una disperata in­
consistenza, si accompagnano a no­
stalgie ed a sogni incostruttivi, con
il risultato di annullare ogni possibi­
lità di dialogo e di comprensione. La
colpevolezza e la irresponsabilità so­
no proprie anche di una parte del
pubblico ed è proprio questo il pub­
blico che i critici in questione, dopo
il riconoscimento delle proprie respon­
sabilità, dovrebbero aiutare a trovare
la propria realtà ed a capire il proprio
tempo, senza equivoci e senza eva­
sioni.
Lucio Cabutti

File: PDF, TESTO

Collezione: Ateneo del 1 aprile 1955 (contiene il numero intero)

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Citazione: Lucio Cabutti, “Incertezze della critica d'arte,” Riviste degli studenti, ultimo accesso il 09 dicembre 2023, https://rivistestudenti.unito.it/items/show/1256.