Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Giolitti e Gramsci

Data: 1955-06-01

Relazione: Ateneo, anno 6 n. 14 p. 4

Identificatore: 06_14_04_01

Testo: Giolitti e Gramsci
In attesa di una sua valutazione
integrale, che ci riserviamo di pub­
blicare prossimamente, desideriamo tut­
tavia non lasciar trascorrere quest'anno
universitario, senza presentare almeno
queste brevi note con le quali il no­
stro collaboratore si è prefisso l'intento
di illustrare, sia pure molto somma­
riamente, un aspetto fra i più interes­
santi della polemica gramsciana, resa
nota attraverso la recente pubblicazio­
ne, per i tipi dell'editore Einaudi, del
volume L'Ordine Nuovo, che tanto in­
teresse ha suscitato per la personalità
dell’autore e per l’importanza degli
argomenti trattati.
Non c'è dubbio che Giovanni Gio­
litti va posto fra i più imporranti
obiettivi della polemica che Anto­
nio Gramsci condusse all’indomani
della prima guerra mondiale contro
lo stato borghese e che ci viene ora
documentata attraverso una parte dei
suoi scritti giornalistici raccolti ne
L'Ordine Nuovo. Polemica ancora
oggi valida — seppure talvolta in­
ficiata da apprezzamenti non equa­
nimi e dall’uso di una terminolo­
gia troppo e volentieri inasprita da
livore acritico — in quanto, men­
tre da un lato supera la retorica
dannunziana e la faziosità alberti­
niana denunciandone chiaramente i
limiti, dall'altro stimola la reazione
all'offensiva, non sempre serena ed
obiettiva, di rivalutazione giolittiana, tuttora in pieno svolgimento.
Giolitti è per Gramsci « un gran­
de conservatore e un abile reazio­
nario, che impedì la formazione di
un'Italia democratica, consolidò la
monarchia con tutte le sue preroga­
tive e legò la monarchia più stret­
tamente alla borghesia attraverso il
rafforzato potere esecutivo che per­
metteva di mettere al servizio degli
industriali tutte le forze economiche
del Paese « (cfr. «Passato e presen­
te», p. 25). In sostanza, cioè, il
pensatore sardo, pronunciando un
giudizio di categorica condanna che
postula a sua volta un processo di
revisione storica del cosiddetto « au­
reo decennio », rimprovera a Gio­
litti non tanto questo o quell'at­
teggiamento particolare ma i prin­
cipi stessi che giustificavano la sua
condotta politica, gl’ideali (se di idea­
li è il caso di parlare con Giolitti)
cui s
i informò la sua azione di go­
verno. Imitato del resto, sia pure
su un piano totalmente diverso, da
Don Sturzo, il cui famoso « veto »
dell'ottobre 1922 resta soprattutto, con buona pace di quanti continuano
a stracciarsi le vesti indignati, un
gesto di ribellione morale contro il
primo responsabile della degenera­
zione politica italiana, di un solenne
atto d’accusa verso un sistema di
governo che per sussistere aveva sna­
turato la lotta politica riducendola
a un paziente esercizio di alchi­
mia parlamentare nella continua ri­
cerca del compromesso trasformista.
Giolitti, infatti, aulico esponente
della borghesia, parve soltanto preoc­
cupato di governare in nome di es­
sa, senza curarsi affatto di sapere
come e con chi, e da questo radi­
cato cinismo nasce in lui la ferma
volontà di ostacolare ad ogni costo
l’avvento di un regime sinceramente
democratico, bastandogli, per impor­
re il suo opportunismo riformista, l’appoggio devoto di « una maggio­
ranza pletorica, informe, senza idee
e senza volontà » ottenuta « specie
con le manipolazioni brigantesche
rimaste celebri delle elezioni nel
Meridionale » (p. 291), significative
anticipazioni dei «ludi cartacei »
mussoliniani. Quella stessa maggioran­
za che, calpestando le proprie con­
vinzioni ispirate al neutralismo gio­
littiano, voterà nel maggio 1915 a
favore del bellicismo salandrino, creando le condizioni necessarie e
indispensabili perchè si verificasse
un vero e proprio colpo di stato an­
tiparlamentare, dovuto — afferma
Gramsci — non alla minoranza fa­
scista, ma «alla maggioranza giolit­
tiana, che non ha avuto la forza di
evitarla, appunto perchè di essa Gio­
litri aveva fatto un branco di pecore, togliendole per lunga consuetudine
ogni serietà di convinzione, ogni vi­
gore morale » (p.292).
Di qui, a rendere Giolitti respon­
sabile di una guerra che egli non
aveva saputo impedire, il passo è
breve, e Gramsci allora si scatena
fino a scivolare nella volgarità del­
l'ingiuria, fino a demolire la per­
sonalità dell’illustre statista con un
giudizio perentoriamente negativo
che, trent’anni più tardi, Palmiro
Togliatti correggerà in un apprezza­
mento assai meno crudo e per certi
aspetti positivo, se non altro rico­
noscendo a Giolitti « tra gli uomi­
ni politici della borghesia », il meri­
to di essersi « spinto più innanzi, sia
nella comprensione dei bisogni delle
masse popolari, sia nel tentativo di
dar vita a un ordine politico di de­
mocrazia, sia nella formulazione di
un programma nel quale si scorge, anche se in germe, la speranza di
un rinnovamento » (cfr. « Discorso
su Giolitti», p. 94): giudizio rive­
latore di una equilibrata revisione
critica gramsciana nell'ambito di una
ponderata esegesi storica.
D'altra parte è logico che la co­
scienza di Gramsci, esponente del­
la classe proletaria, si ribellasse alla
inettitudine di una borghesia or­
mai fradicia e all’incapacità di una
classe dirigente la quale, per porre
rimedio allo sfacelo di cui essa stessa
era causa, non aveva saputo far al­
tro di meglio che richiamare Gio­
litti, toccasana di tutti i mali. Ma
l’uomo fu inferiore alla fama perchè
mutate erano le condizioni che que­
sta fama avevano contribuito a crea­
re, ed egli non aveva saputo ade­
guarvisi. Il clima politico postbellico
appariva propizio a una sana impo­
stazione dialettica fra partiti orga­
nizzati anziché alle sterili operazioni
di alchimia parlamentare, esigeva un
chiaro programma di governo e non
l’ordinaria amministrazione, impe­
gnava i responsabili della cosa pub­
blica a una lotta aperta contro le
deviazioni nazionalistiche e non tol­
lerava le compiacenti collusioni con
il sovversivismo « bianco ». Giolitti, però, sordo a tutte le esigenze del­
l'ora difficile, e « giolittismo » —
« modesta pratica di governo, priva
di qualsiasi bagaglio ideale che la
ingombri » (p. 29) — continuò ad
essere « sinonimo di un continuo a­
dattamento, anzi di una metodica
contraffazione dei principi, allo sco­
po di risolvere il problema », per
lui essenziale, « di mantenere le ac­
que italiane in continua bonaccia
(p. 301).
Non c’è quindi da meravigliarsi
se, inquadrato in questa visuale po­
lemica, talvolta angusta ma non pri­
va di notazioni geniali, il famoso pa­
rallelo che Gramsci tenta fra Ca­
vour e Giolitti si risolve in favore
del « grande artefice », mancando a
Giolitti, « burocrate d'ingegno », le
doti del vero statista soprattutt
o per­
chè la sua politica « è stata, in un
periodo in cui il nostro paese era
già, com'è tuttora, spaventosamente
povero di nette posizioni program­
matiche e di forti individualità, una
implacabile disgregatrice di partiti e
di coscienze ».
Questo resta, in sostanza, l'aspetto
più negativo del «giolittismo», per
cui, in ultima analisi, ha ragione
Gramsci quando, concludendo il suo
giudizio su Giolitti, afferma che il
suo ritorno al potere « può essere
veramente assunto a simbolo dello
sfacimento della società italiana, del
dissolversi delle classi dirigenti, della
decadenza della cultura e dell'intelli­
genza della casta governativa italia­
na » (p. 338) : quello sfacimento, cioè, che porterà come estrema conseguen­
za al fascismo. Ma Gramsci non po­
teva logicamente nel 1920 prevedere
il fatale sbocco dell’ultima esperienza
giolittiana. Resta però la condanna
del sistema ed è sufficiente a testi­
moniare la sostanziale validità del
giudizio gramsciano, inquadrato nel­
la realtà della storia.
Giorgio Gual
erzi
Antonio Gramsci: « L’Ordine Nuovo », (Einaudi, 1954).

File: PDF, TESTO

Collezione: Ateneo del 1 giugno 1955 (contiene il numero intero)

Etichette:

Citazione: Giorgio Gualerzi, “Giolitti e Gramsci,” Riviste degli studenti, ultimo accesso il 09 dicembre 2023, https://rivistestudenti.unito.it/items/show/1325.