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Titolo: Delle difficoltà quasi estetiche o quasi delle difficoltà estetiche

Autore: Giorgio Colombo

Data: 1954-03-15

Relazione: Ateneo, anno 5 n. 9 p. 4

Identificatore: 05_09_04_01

Testo: La comunicazione soggetto-oggetto alla base dell'evoluzione degli spettacoli
DELLE DIFFICOLTÀ QUASI ESTETICHE
O QUASI DELLE DIFFICOLTÀ ESTETICHE
di GIORGIO COLOMBO
Può essere opportuno considerare
alcuni fenomeni pseudoartistici di
massa, non dal punto di vista di una
estetica pura, che allora sarebbero
condannabili (per le idee o la realiz­
zazione?), ma da un punto di vista
più generale e cioè psicologico. Ci
riferiamo a quegli spettacoli che tanto
favore suscitano ed hanno suscitato
nel pubblico, come I’opera lirica
« sentimentale », il teatro « romantico
passionale », e i vari films zuccherosi
che così sovente ci smercia l’Ame­
rica : si possono aggiungere centinaia
di fenomeni del genere che ancor più
si allontanano dall’ambito estetico, ma che si propongono e giungono
ad effetti molto simili a quelli pro­
dotti dalle manifestazioni sopraindi­
cate, come il romanzo d’appendice, il gioco del calcio, la corsa dei ca­
valli, ecc.
I gusti, si capisce, cambiano, e non
stiamo a vedere nè come nè perchè, e si preferisce oggi ad un western un
roseo filmetto d’amore, al circo eque­
stre ed in parte all’opera lirica la
rivista, al teatro che sempre più va
raffinandosi lontano dal grosso pub­
blico (rare sono le riesumazioni tipo
« Cirano ») il cinema, e al cinema la
televisione; ma questi cambiamenti
esaminati a posteriori hanno una loro
coerenza e spiegabilità. Il rapporto
produzione consumazione è talmente
diretto ed a influenza reversibile, che
da una certa produzione si può ten­
tare di ricostruire la mentalità e Io
sviluppo ideologico di un popolo in­
tero (Kracauer): ci si limiterà qui a
constatare alcune reazioni del rice­
vente, dello spettatore. Sul palcosce­
nico o sullo schermo viene presentato
uno svolgimento di fatti per lo più
irreali nel senso di irrealizzabili, ep­
pure non è difficile notare come lo
spettatore si commuova fino alle la­
crime. Disposizione questa che l’ap­
parato produttivo sa sfruttare in modo
egregio, dalle lontane urla strazianti
di Turandot morente ai films colossi
Cinemascope, dove l’elemento fìsico
— non sempre reale — viene ap­
positamente esagerato come eccitante.
Bisogna in linea di massima che il
fatto sia lineare, la tipologia accen­
tuata per esser subito compresa senza
difficoltà, la trama che rispecchi una
funzione repressa o un desiderio ir­
raggiungibile dello spettatore. Per
esempio il buono che trionfa, anche
solo moralmente, sul malvagio (bi­
sogna sempre che bene o male siano
nettamente distinti), il cattivo che si
redime con l’amore, gl’innamorati che
contro ogni ostacolo alla fine si
sposano, ecc., ecc., fatti che sotto
un’evidenza più concretamente cor­
posa della realtà stessa (partecipazione
di folle, spettacolari crolli di mura, giganteschi conflitti di passioni, pri­
mi piani e particolari invadenti, ecc.)
nascondono quella irrealtà necessaria
per realizzare un’aspirazione od ap­
pagare un desiderio.
Lo spettatore di fronte a questo
genere di spettacoli può comportarsi
in due modi differenti (si prendano
queste divisioni come indicative, sche­
matiche, non esaurienti), entrambi ben
lontani da una valutazione estetica:
può venire colpito dalla situazione che
si sta svolgendo perchè assomiglia ad
una sua già passata, oppure perchè
può vedere in essa se stesso o solo
alcune funzioni poco sviluppate per­
chè generalmente represse, come la
pietà, il coraggio, l'amore ecc, : ma
a questo punto smette l’identificazione
o continua solo in quanto si trasformi
in eccitante per associazioni di idee
e di esperienze al soggetto partico­
larmente care. In questo caso lo spet­
tatore crede di vedere lo spettacolo e
invece vede se stesso secondo una
certa prospettiva favorevole (per que­
sto giudicherà bello lo spettacolo), assumendo l’azione presentata come
spunto continuo per divagazioni in
un determinato senso. Il soggetto
prevale sull’oggetto. Questa assun­
zione può solo avvenire nel caso in
cui il fatto oggettivo sia talmente
vicino al soggetto da permettere la
identificazione iniziale.
Lo spettatore può anche parteci­
pare differentemente allo spettacolo:
quella identificazione, che abbiamo
visto per il primo caso troncarsi ap­
pena iniziata, continua per tutto lo
svolgimento. Il soggetto non si dif­
ferenzia più dall’oggetto presentato, ed avviene una partecipazione ed im­
medesimazione completa nella situa­
zione. Bello o riuscito sarà sinonimo
d’ immedesimazione avvenuta, « il
piacere estetico diventa godimento di
se stesso obbiettivato » - Worringer -, ed interviene la commozione come
elemento fondamentale nel senso eti­
mologico di « muovere con ».
Perchè avvenga uno scambio così
diretto tra soggetto e oggetto è ne­
cessario che i temi si adeguino ad
un certo livello di mentalità (quella
del grosso pubblico), ma ciò non è
difficile che avvenga per la proble­
maticità relativamente poco svilup­
pata della massa. Si scopre un certo
tipo che subito viene accettato dal
pubblico (divismo), poi ci si ricama
sopra fino a che esso non dica più
niente e annoi sia perchè ha esaurito
la propria vitalità, sia perchè i gusti
sono cambiati.
Si giudicherà bello uno spettacolo
se ubbidisce a due condizioni : primo, se ha messo in moto le facoltà in­
teressate del soggetto di modo che
avvenga l’assimilazione o l’immedes
ima­
zione (a seconda se per il primo
o per il secondo caso), si crede vero
il personaggio, più vero ed essen­
ziale che qualsiasi altro accadimento
contemporaneo. Non è da tutti cre­
dere alla veridicità della Mimì di
Puccini, come non è da tutti credere
alla veridicità della Beatrice di Dante.
Secondo, se in questi processi il sog­
getto si è trovato contento e soddi­
sfatto di sè, cioè se questo parteci­
pare alla situazione non l'ha messo
in condizione di dover riconoscere dei
lati spiacevoli della sua personalità
(per esempio il sentirsi troppo attratto
dalla bella perversa) o di venir colpito
nelle sue credenze e scoperto nelle
sue ingiustizie: ma viceversa di ve­
dersi trionfare, riconosciuto nei meriti
e confermato nelle idee. Evidentemen­
te non sono paradigmi estetici che
pretendano ad una universalità as­
soluta, perchè per riconoscere la pos­
sibilità di una completa generalizza­
zione in quanto è stato detto bisogne­
rebbe ammettere che la reazione psi­
cologica fosse un « quid » costante e
scientificamente determinabile, il che
non si può affermare (si potranno te­
ner presenti certi elementi comuni e
stabilire vari gradi di mentalità, ma
questo non è universalizzare). Può
nascere un codice estetico perchè un
certo atteggiamento statisticamente
preponderante impone ciò che deve
essere bello e ciò che deve essere
brutto (anche bene e male?), ma vi
sarà sempre un certo numero di per­
sone che, a costo di apparire stu­
pide o estrose, banali o anormali, non
accetteranno questo codice. Si è par­
lato in termini di psicologia spicciola
e di fenomeni di massa e solo indi­
rettamente al problema dell'Arte con
l'A maiuscola: ma veramente tutto
ciò con l’Arte non ha niente a che
fare? Veramente l'interessamento di
vita è estraneo ad una contemplazio­
ne che non voglia essere astratta ac­
cademia, ma che pretenda ad una
qualsiasi profonda normatività? An­
che qui abbiamo toccato problemi
troppo complicati che ci basta aver
prospettato come domanda. Non trat­
tiamo in particolare di spettacoli con
dichiarate intenzioni artistiche, per­
chè sembra presupposto il distacco
della contemplazione, cioè la diffe­
renza fra linguaggio e vita vissuta, ed anche perchè richiedono una pre­
parazione intellettuale che non si
può presupporre nel grosso pubblico.
Anche qui però certe esigenze si sono
fatte sentire, e proprio di qui po­
trebbe cominciare una risposta ai due
interrogativi accennati : considerare
rapporti fra l’Arte per tradizione
consacrata e altre manifestazioni che
in altri campi hanno la stessa sua
funzione.
Per ritornare al nostro argomento, avevamo detto che i cambiamenti di
gusto, esaminati a posteriori hanno
una loro coerenza, ed essa consiste
nel volere spettacoli che siano sempre
immediatamente vivi ed attuali, che
il contatto soggetto-oggetto avvenga
sempre per una nuova quantità di
energia scaturita dall’oggetto, atta
ad attivare subito il soggetto. Secondo
questa legge un motivo appena di­
venta incapace di rispecchiare l’in­
conscio collettivo perde ogni impor­
tanza e cade, senza però escludere la
possibilità di un ritorno. Si può citare
di esempio l’opera lirica, che non de­
stò più un consenso unanime quando
ripropose ad un pubblico più critico
e magari più superficiale temi dell’ar­
tista spiantato e incompreso, o del
fato implacabile contro cui anche lo
amore viene sconfitto, o del patriota
che alla patria sacrifica ogni cosa, ecc.;
tutto questo, di un romanticismo (in
senso negativo) talmente diluito ed
artefatto da non interessare più nes­
suno, favorì il passaggio all’operetta, oppure al tentativo d’innestare nuovi
motivi: alla Grecia si sostituì la ma­
nia dell’esotico, al conflitto d'idee il
populismo della ciociara o di Carmen
e via di questo passo. Man mano
che la vita lavorativa assorbiva in
sè e annullava nella persona ogni altra
attività, sempre più si sentiva la ne­
cessità di un mezzo che permettesse
lo sfogo di tutte queste funzioni li­
mitate e combattute, e questo lo
diede il cinematografo. La storia del
cinema è per un certo verso la storia
faticosa della migliore comunicazione
soggetto - oggetto : prima muto, poi
parlato, poi a colori, poi panoramico
poi a tre dimensioni, fattori tutti che
facilitano la proiezione diretta di sè
nel personaggio, dando la possibilità
di vivere per due ore una vita nuova
rispetto a quella solita (qui ha visto
bene Pandolfi). Ma anche per il tea­
tro è successo qualcosa di simile: la
scenografia s’è ridotta al minimo, si
abbandona il cambiamento delle scene
e a volte la partizione in « atti »
usando giochi di luce presi in pre­
stito dal cinema, e possiamo ricor­
dare le recenti rappresentazioni di
Vilar dove anche il sipario viene abo­
lito. Sono, fuori dalla metafora, bar­
riere, cornici dell’oggetto che cadono
per dare allo spettatore immediata e
completa presenza di sè. Un bisogno
verso il concreto dunque, il fisico
il vissuto, contrapposto all’abitudina­
rio, al convenzionale, al forzato, ca­
ratteri questi della costrizione profes­
sionale. Si vuole bruciare tutto in
una sera di spettacolo perchè per una
settimana non se ne riparla più.
Vorremmo ancora finire con una
domanda, perchè queste poche note
abbiano carattere di proposta, più
che di conclusione. Un giudizio
estetico non dipende per nulla da
questi vari atteggiamenti e bisogni
ora accennati? Esistono altri metri
estetici al di fuori di quelli ufficiali?
Dove scorgerlo un confine preciso tra
linguaggio e vita vissuta? Si tolgono
le cornici, ma con esse se ne va
anche la chiarezza degli schemi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Ateneo del 15 marzo 1954 (contiene il numero intero)

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Citazione: Giorgio Colombo, “Delle difficoltà quasi estetiche o quasi delle difficoltà estetiche,” Riviste degli studenti, ultimo accesso il 09 dicembre 2023, https://rivistestudenti.unito.it/items/show/994.