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Titolo: Per gli universitari il matrimonio è una cosa seria

Autore: Giovanni Battista Zorzoli

Data: 1954-05-01

Relazione: Ateneo, anno 5 n. 12 p. 4

Identificatore: 05_12_04_01

Testo: Concludendo il dibattito sul « sesso »
Per gliuniversitari il matrimonio è una cosa seria
Amare significa comprendere e venire compresi - Le studentesse non pensano al flirt? - Il camera­
tismo di Therivel e le soluzioni ''sociali" di Bonazzi - Però il matrimonio rimane il sognato traguardo
Comincio con un lato negativo del
dibattito sugli universitari ed il pro­
blema del sesso, dibattito che vorrei
qui riassumere e concludere. All’in­
vito non ha risposto nessuno che non
fosse studente. Peccato, perchè il pa­
rere di terzi, che vedessero il problema
dal di fuori, e quindi con una maggior
serenità ed una diversa esperienza, avrebbe da solo sanzionato la buona
riuscita dell’iniziativa. La quale, tut­
tavia, presenta un bilancio decisamente
attivo; la validità di alcune dell’idee
esposte le pone come punti fermi, chiarificatori di una questione quanto
mai complessa. E dove il dibattito non
ha apportato nulla di concreto, ha
perlomeno fatto meditare su quesiti e
situazioni forse prima trascurati.
Gli studenti hanno invece mostrato
un interesse attento e positivo: basta
guardare il numero di risposte per­
venute ad « Ateneo ». Pensando che
per uno che scrive ce ne sono molti
di più che ne avrebbero l’intenzione, ma non lo fanno o per pigrizia o
per incapacità, e che a loro volta que­
sti ultimi — è un assioma statistico —
rappresentano una minima percentuale
di quanti hanno letto gli articoli me­
desimi, non mi sembra azzardato af­
fermare che l’iniziativa ha riscosso il
favore di nostri lettori.
Dopo l'articolo di Massera ne sono
stati pubblicati altri tre, ma per esau­
rire l’argomento ci vorrebbe ben altro
spazio, che purtroppo manca. Cercherò
quindi di riassumere qui quelle, fra
le numerose risposte, che si distin­
guono per l’intelligenza delle argo­
mentazioni o per la singolarità dei
concetti esposti. Per poi tirare le som­
me, o almeno cercare di tirarle, perchè
è arduo andare a fondo dell’argo­
mento.
Comincio col gentil sesso. Tutte
contro il Belletti, e la sua teoria dei
«filaggi molteplici », le ragazze. Dal­
tronde l’articolo del Belletti, meno ge­
nerico di quello iniziale di Massera, è stato il punto di partenza di quasi
tutte le successive polemiche.
In un breve ma intelligente articolo
Gingi Lombardi dopo aver premesso
che all’età sua — e nostra — par­
lare di matrimonio è cosa prematura, mancando la necessaria maturità, de­
plora le asserzioni del Belletti « Fi­
lare non è un compromesso tra un
vieto sentimentalismo romantico e la
attrazione sensuale. Invece amare
una persona significa stimarla ed am­
mirarla, avere cieca fiducia in lei, comprenderla e venirne compresi; sa­
pere che all'occorrenza sgridarci, ap­
punto per amore. In una parola, vuol
dire desiderare di migliorarsi pe
r qual­
cuno... Per riconoscere l'anima ge­
mella non è necessaria l'esperienza, basta un po' di buon senso e non
troppa premura; quello che invece è
fondamentale è il rispetto vicendevole.
Ma io parlo di matrimonio e non di
rapporti con l'altro sesso. Quelli li
vedo improntati o su una amicizia
cameratesca oppure sul flirt. Certo è
più comodo invece di studiare e di
non andare fuori corso (preparando
così sicuramente le basi della futura
famiglia) passeggiare per il Valentino
con un braccio intorno alle spalle
di una ragazza e sentirsi " meno
soli ", ecc., ecc., ma allora, non di­
ciamole ” ti amo ”, quando è sem­
plicemente ” mi piaci " ».
Anche Paola Drarci (o Prarci) ritie­
ne contrario alla propria sensibilità
femminile quanto ha scritto il Belletti.
E vi oppone il fatto che — incam­
minandosi sulla via delle molteplici
esperienze — un uomo non potrà
mai essere sicuro di avere trovato il
vero amore e « qualora riesca a tro­
vare una ragazza modello, sarà poi
egli ugualmente assillato e la sua
felicità incrinata dal pensiero che in
qualche parte della terra esiste una
altra Dorina (per usare il nome fati­
dico) di una sottospecie ancora di­
versa dal suo temperamento ». Con­
clude poi affermando che solo una
profonda formazione morale può ga­
rantire la riuscita del matrimonio, oltre
al suo spirito di dedizione verso la
persona amata, spirito che conta più
dell’affinità di carattere e di quesiti.
Più conciliante Mathil
de Levi, quan­
tunque neghi l’esistenza di una spe­
requazione economica, che facilite­
rebbe i piani di noi studenti, nel
formarsi una famiglia, e ritrovi nella
maggior preparazione culturale un
fattore che pone la maturità degli
studenti alla pari di quella degli altri
giovani. Ed è proprio la formazione
dovuta allo studio a portare lo stu­
dente alla ricerca di una « ragazza ».
« Lo studente, entrato nell'Università
e quindi più libero del suo tempo, sente di ripetere in se quella favola
eterna che è l’amore come è stato
descritto dai nostri romanzieri, dai più
antichi fino ai nostri contemporanei, e che egli aveva già vissuto spiri­
tualmente leggendoli ».
Tuttavia le studentesse giudicano il
problema da un punto di vista diverso
dai giovani, ed è inevitabile che esse
pensino maggiormente al matrimonio.
E questo, con l’aggiunta di una minor
accontentabilità dovuta anche al gra­
do di cultura ed educazione fa sovente
parere agli studenti preferibili le ra­
gazze che non studiano.
Sconcertante il pensiero di William
Therivel. Mi dispiace di non avere
sotto gli occhi il suo articolo, per ri­
portarne i brani salienti. Egli rifiuta
ogni validità a tutte le soluzioni del
problema dei rapporti tra i due sessi
che non trascendano il problema stes­
so. Solo nell’azione, in un’attività co­
struttiva e creatrice egli vede un si­
gnificato per la vita del giovane. Che
tale attività si svolga nei gruppi di
azione cattolica, oppure nelle federa­
zioni giovanili del partito comunista, non ha importanza. L’essenziale è il
concentrarsi in una determinata di­
rezione, verso un’ideale insomma, an­
che se questa parola non compare
esplicitamente nello scritto del Theri­
vel. In questa prospettiva i rapporti
tra i due sessi si risolvono in un
semplice cameratismo, in una reciproca
collaborazione per il raggiungimento
delle mete comuni. A tratti anche
confuso, il pensiero di Therivel si
accosta molto a quel concetto di
« celibato - missione » tanto caro a San
Paolo, oggi peraltro — a mio pare­
re — fuori luogo e fuori tempo.
Perchè negarsi le gioie dell'amore?
D'altronde S. Paolo stesso afferma
che è necessario « servire Dominum
in laetitia ».
Molto polemica la lettera di Giu­
seppe Bonazzi. E’ nettamente diversa
dalle altre la sua analisi, ove la chiara
qualificazione politica (di estrema si­
nistra, tanto per intenderci), lungi dal
togliere valore, rende ancor più inte­
ressanti le sue affermazioni che —
anche se non accettabili da tutti —
costituiscono un notevole apporto a
questo dibattito.
L'operaio, secondo il Bonazzi, non è
affatto più libero dello studente, nè
economicamente nè come tempo di­
sponibile. « Che l'operaio sia in ge­
nere molto più maturo in amore che
lo studente deriva non già da ipote­
tici vantaggi del suo mestiere, ma
dal fatto che appartiene ad una classe
sociale i cui membri sono estrema­
mente più provati dalle difficoltà della
vita, e quindi sono di uno sviluppo
generale molto più precoce di quello
dei membri delle altre classi sociali
a cui appartiene la maggioranza de­
gli studenti. L'unica vera causa della
ritardata maturità di questi ultimi, ciò che li induce a gingillarsi in in­
sulse schermaglie con le coetanee, o a
soddisfare la propria « libido » in
rimbombanti quanto superficiali av­
venture è da ricercarsi nell'insegna­
mento di una classe socia
le inibita da
pregiudizi ma infrollita nel gusto del­
l'illecito, impartisce ai suoi figli... Se
ci sbarazzassimo una buona volta di
tutto il moralismo tradizionale, me­
schino quanto ipocrita, dovremmo con­
venire che il matrimonio non è affatto
una specie di traguardo a cui le donne
debbono arrivare f
isiologicamente in­
tatte, dopo il tirocinio erotico giova­
nile; e non è nemmeno una specie di
amnistia dell'opinione pubblica per i
passati amori dei mariti. La maturità
della vita amorosa e sessuale si rag­
giunge benissimo prima e fuori del
matrimonio; questo deve subordinare
del tutto la soddisfazione amorosa a
motivi molto diversi, di natura eco­
nomica, sociale e naturale. Il fatto che
due persone si amino, non giustifica
affatto che debbano sposarsi ».
Molti hanno stigmatizzato i figli di
papà, che se la spassano con lussuose
automobili e femmine ancor più di
lusso. Nessun figlio di papà ha risposto.
O si vergognano di se stessi o tanto
radicata in loro è l’ignavia da ren­
dere faticoso persino il peso di una
stilografica; oppure se ne infischiano
di questo problema, come di tutti gli
altri, preoccupati solo della propria
vana esistenza. Qualunque sia la giu­
stificazione del loro silenzio, questo
non fa che confermare — in tutto e
per tutto — i giudizi concordi emessi
sul loro conto.
Sgombrato il campo da questi inu­
tili perditempo, l’orientamento gene­
rale verso il matrimonio appare abba­
stanza chiaro. Per le studentesse esso
rimane il primo - se non l’esclusivo
scopo. E molte rifiutano esperienze
od approcci che non intendono ap­
prodare sicuramente a quello. Gli
studenti sono divisi grosso modo in
due categorie. Gli uni riterranno il
matrimonio come unico fine della pro­
pria vita amorosa e sessuale, gli altri
non disdegnano i flirts, anche se fine
a se stessi. Il problema, però, a mio
parere, non si riduce a quello matri­
moniale, in cui esclusivamente è an­
data a sfociare la discussione. Ini­
ziando il dibattito con il titolo « Gli
universitari ed il problema del sesso »
pensavo anche a tutto quel vasto
campo di esperienze non precisamente
matrimoniali, e neppure semplici flirts
con compagne, per cui prima o poi
passano molti studenti, la maggioranza
forse. Siamo schietti: la costituzione
fisiologica, un determinato genere di
esperienze sessuali a cui il giovane
difficilmente sfugge durante l’adole­
scenza, l’atmosfera psicologica in cui
il « maschio » cresce, lo portano a
sentire la necessità d’« altro », anche
prima del matrimonio. Come lo risolva, questo stimolo; se influisca anche nei
semplici rapporti tipo flirts; se lo sod­
disfi parallelamente ma altrove, op­
pure l’uno escluda l’altro; o invece
quando il flirt, dapprima innocente, cominci a presentare altri aspetti meno
innocenti; e qualche soluzione ciascu­
no ritenga più onesta, o più pratica, o più corretta. Solo la lettera del Bo­
nazzi ha sfiorato questi problemi, che
per altro richiedono in chi scrive una
grande sincerità, per non cadere nel­
l'ipocrisia, ed un'estrema sensibilità, per evitare volgarità.
E forse per questo nessuno ha osato
toccarli. Ma, pur restando nello stretto
ambito del matrimonio, il dibattito ci
ha detto come gli studenti lo giudi­
chino una cosa seria, per cui occor­
rono maturità, autocoscienza, equili­
brio morale ed un chiaro e sicuro
affetto.
Determinate condizioni d'ambiente
potranno nel futuro mutare. Per esem­
pio la progressiva emancipazione della
donna, a cui stiamo assistendo po­
trebbe portarla — come in altri pae­
si a quella libertà di rapporti
auspicata dal Bonazzi, e magari a sce­
gliere anche lei dopo molteplici e
complete esperienze; ma questo non
varierà la sostanza delle attuali con­
clusioni. Perchè, e qui il Bonazzi ha
torto, i fattori economici, culturali, so­
ciali da soli non riusciranno mai a
fare un buon matrimonio. Bisogna an­
che volersi bene: soprattutto volersi
bene. Questo mi sembra il dato più
positivo, anche se ovvio, acquisito
durante il dibattito, e mi piace chiu­
dere con esso. E’ un sigillo di ga­
ranzia, di felicità.
G. B. Zorzoli

File: PDF, TESTO

Collezione: Ateneo del 1 maggio 1954 (contiene il numero intero)

Citazione: Giovanni Battista Zorzoli, “Per gli universitari il matrimonio è una cosa seria,” Riviste degli studenti, ultimo accesso il 24 settembre 2023, https://rivistestudenti.unito.it/items/show/1048.